Io sono figlia di immigrati, o meglio di immigrata. Mia mamma è arrivata in Italia dal Brasile più di 20 anni fa, con me da una parte e mia sorella dall’altra. Ora che ad emigrare sono io, penso molto alla storia di mia mamma. Cerco di immedesimarmi nel suo percorso, ed ogni volta che lo faccio, fallisco: mi rivedo sempre in quella bambina con il vestito a righe blu e bianche che vedeva in quel lungo viaggio…un gioco. Ed invece è stato l’inizio della nostra nuova vita.
Essere figli di immigrati è la voce, la croce e la cornice della nostra identità. Qui qualche parola su cosa voglia dire essere figli di immigrati:

HAI VISTO I TUOI GENITORI ESSERE VITTIMA DI RAZZISMO (E SESSISMO).
Vedere i propri genitori in difficoltà non è mai facile. Fin da piccoli, i figli di immigrati sono esposti al razzismo, vissuto soprattutto dai loro genitori. Quando siamo arrivati in Italia, avevo quasi 5 anni, e con l’inizio della scuola elementare ho iniziato ad essere esposta a commenti razzisti e sessisti su mia madre. Quando uscivo da scuola, vedevo che era in disparte: il gruppo delle madri non l’ha mai coinvolta, timorose della sua bellezza latina “pericolosa” (ricordiamoci che è l’Italia di 20 anni fa), e gli uomini l’hanno spesso guardata come se fosse un oggetto da possedere. La consapevolezza che i tuoi genitori possano essere deboli, vittime, ed oggetto di giudizi altrui, è una responsabilità che da piccoli non è facile da sostenere.
“Le donne brasiliane sono puttane e rubano i mariti”
“Torna al tuo paese Brasiliana di merda”
Inoltre, la mia era una mamma “single”. Non avere una figura maschile e paterna nel nostro nucleo famigliare ha sempre dato il permesso agli altri di dire la loro sulla nostra famiglia di solo donne.
CON I TUOI GENITORI SENTIRAI UNA DIFFERENZA GENERAZIONALE…E CULTURALE.
Molto spesso i genitori immigrati si rifanno alla cultura del paese che hanno lasciato anni fa. Ad esempio, mia mamma brasiliana, ci ha educate rispettando la cultura brasiliana ferma alla sua partenza, che non vedo rispecchiata nei miei cugini in Brasile ad esempio. Inoltre, molti figli di immigrati (seconda generazione), iniziano l’intero percorso scolastico nel paese di immigrazione dei genitori, vivendo di quella cultura fuori di casa, e della cultura dei genitori all’interno di casa. Con il tempo, imparerai ad essere flessibile ma non sempre i tuoi genitori apprezzeranno il tuo identificarti nella cultura e società dove stai crescendo.
“Yasmin! Ricordati che tu sei diversa dai tuoi amici! Tu sei Brasiliana!”
Era questo quello che mi sentivo dire quando, da adolescente, chiedevo delle cose a mia madre: mi sembravano essere richieste del tutto normali per un’adolescente italiana. Penso che la loro sia paura di essere “traditi”.

TI MANCHERA’ UNA RETE DI SUPPORTO (SOCIALE ED ECONOMICO) SICURA
Non ci sono nonni, zii e parenti, non ci sono case di proprietà e non ci sono risparmi.
In un paese come l’Italia, fortemente basato sulla famiglia, se non hai una rete di sostegno familiare (per supporto sociale ed economico) partirai sicuramente da una condizione di svantaggio. Questa è la realtà di molte famiglie immigrate. I figli di immigrati allora, si ritroveranno a vivere in un sistema che li farà partire sempre e comunque dopo gli altri. E sentiranno spesso questa fatica.
Ad esempio, nella cultura brasiliana con la quale sono cresciuta, non si prendono soldi dai genitori e parenti. Il concetto di “paghetta” non esiste e dai 18 anni sei quasi “obbligato” a lavorare. Questo è quello che ho fatto io. E quando in 5° liceo ho iniziato a lavorare in un bar, ricordo che amici mi hanno detto indignati:
“non capisco come i tuoi genitori possano permettere questa cosa”.
Mi sono sentita ferita, non capita. Questa era la mia realtà.
-> A proposito di disparità, metto qui un bellissimo video su cosa significa partire in svantaggio.
AVRAI ASPETTATIVE MOLTO ALTE SU DI TE E DOVRAI PRESTO RAGGIUNGERE L’INDIPENDENZA ECONOMICA
Per tutte le ragioni descritte sopra, i figli di immigrati sentono il peso di “fare bene”: questo può voler dire essere bravi studenti ed avere un buon lavoro (se andranno all’Università), oppure entrare prestissimo nel mondo del lavoro ed essere da subito indipendenti.
Molti figli di immigrati sanno cos’è la povertà e conoscono da vicino le difficoltà economiche dei propri genitori. Molti figli di immigrati sanno cosa vuol dire aiutare i genitori a pagare le bollette, a mettere i bisogni della famiglia prima dei propri.
La pressione economica non sarà la sola. I genitori immigrati proiettano spesso i loro sogni sui figli, e conoscendo le ingiustizie di almeno due società, non vogliono che i loro figli siano vittime delle stesse (come spesso è successo a loro).
-> A questo link c’è un video molto carino: si ironizza sul capitalismo e i figli di immigrati.

FORTE SENSO DI COLPA E SCARSO SUPPORTO PSICOLOGICO
I figli di genitori immigrati sentono un forte senso di colpa per la vita che vogliono a paragone della vita immaginata dai loro genitori. Questo va oltre la paura di deludere le aspettative dei genitori, ma include la paura di cancellare interamente la loro intera vita di sacrifici. Il senso di colpa lo si sentirà particolarmente crescendo, diventando adulti, e sviluppando la propria individualità. Spesso le mie aspirazioni personali di vita si sono dovute scontrare con le responsabilità che sento nei confronti della mia famiglia. I figli di immigrati passeranno la vita a cercare di “ripagare” i genitori per i loro sacrifici.
Per quanto riguarda il discorso psicologico, molti figli di immigrati vengono da un contesto dove l’aiuto psicologico è demonizzato e non compreso. Faranno molta fatica ad avvicinarsi a concetti come la cura e la salute mentale, perché per i propri genitori è un “lusso” non necessario. I tuoi genitori si sentiranno in difetto, come se ti lamentassi della vita che hanno costruito per te.
Aggiungo una cosa: penso che gli educatori scolastici, psicologi ed assistenti sociali necessitino di essere formati maggiormente su tematiche quali il razzismo sistemico e la disuguaglianza sociale ed economica. Ed ovviamente sulle dinamiche dell’immigrazione e sulla pedagogia interculturale. Almeno, 20 anni fa non era così.
LOTTERAI CON IL SENSO DI APPARTENENZA E LE CRISI IDENTITARIE
“Da dove vieni?”
“Cosa intendi? Nel senso dove abito? Da dove sono? No, perché sono italiana, ma sono nata in Brasile”
“No, intendevo se fossi anche tu di Milano”
“Ah!”
“Da dove vieni?” è la domanda più difficile per i figli di immigrati. Io non so mai cosa rispondere. Io sono italiana, anche mia mamma è italiana, ma è anche brasiliana, ed anche io sono brasiliana, ma crescendo in Italia, ho perso molto di ciò che ero. L’idea di integrazione nell’Italia di 20 anni fa era del tutto inesistente e nel corso degli anni, senza nemmeno accorgercene, siamo state obbligate a scegliere di essere “più italiane” possibili. (Assimilazione)
Personalmente, la mia “acculturazione” italiana mi lascia oggi con importanti sensi di colpa.
C’è ancora posto nella mia vita per quella bambina con il vestito a righe blu e bianche?
Diciamo che i figli di immigrati, hanno una crisi identitaria al giorno. 🙂

I FIGLI DI IMMIGRATI NON SONO TUTTI UGUALI. CONDIVIDI LA TUA STORIA!
In questo ultimo punto mi contraddico da sola: parlo di una categoria chiamata “figli di immigrati” che esiste e non esiste. Diffido dalle categorie perché appiattiscono tutto e non voglio farlo anche io, perciò dico: i figli di immigrati non sono tutti uguali.
Ogni storia è diversa, ogni percorso di immigrazione è unico e personale.
Solo crescendo, sentendomi finalmente adulta, ho compreso il bisogno di raccontare la mia storia, che per troppo tempo è stata taciuta. Consiglio, a chi un po’ si è rivisto in questo racconto, di iniziare a comunicare, e a trovare la propria comunità con la quale dialogare e sentirsi ascoltato. Più storie ci sono, più empatia si crea.
[Buon Compleanno Mamma, da questa storia sembra che i genitori immigrati siano persone terribili: non lo sono. Sono genitori, sono persone, sono figli, sono grandi sognatori.]

Dedico questa storia alla mia mamma, ti devo tutto.
Una storia incredibile e riflessioni preziose per tutti noi. Grazie!
Grazie di cuore!
Un saluto, è bello leggerti e imparare da ciò che racconti.
Continua, mi raccomando…
Grazie mille Antonella, sono molto contenta che ti piaccia il mio blog 🙂
mio Dio
questo è così sentimentale
tua madre sembra una donna molto coraggiosa e forte
affrontano lotte in modo che la vita sia facile per noi
Grazie Mithil, grazie mille!
E che bravo sei in italiano? Wow!
Credo di condividere tutte le tue riflessioni (anche quella relativa al non generalizzare l’esperienza dei figli di migranti/immigrati).
Io ad esempio ho sempre percepito un conflitto con la cultura di cui sono originaria (anche per me grande difficoltà nel rispondere a “da dove vieni?”) e più attriti con la comunità di queste origini in Italia, che non con gli italiani. Ho sempre faticato a dirlo apertamente per paura che la comunità venisse ritenuta “non disponibile ad integrarsi” (che poi sarebbe più giusto dire “assimilarsi” come hai giustamente fatto notare). Quanto al supporto psicologico, è vero, spesso questo e altre forme di investimento nella propria salute vengono giudicate dai genitori come un “buttare soldi”: quest’anno complice la pandemia, ho iniziato a dire che andavo in terapia perché era un mio bisogno e una necessità doverlo comunicare agli altri membri per “giustificare” lunghe assenze in zona rossa mentre mi spostavo lontano dal domicilio. Penso di aver guadagnato anche la possibilità di non guardare con rancore a scelte famigliari, che negli anni non condividevo e su cui avevo poco potere. Grazie per questo blog, mi piace come tratti i temi e la possibilità di conoscerti meglio, proprio attraverso ciò che condividi 🙂
Ciao Cristina, grazie mille per questo bellissimo commento.
Capisco quello che dici nel non volere “criticare” la comunità in Italia…forse per una sorta di protezione? Io sono molto protettiva nei confronti dei brasiliani quando sento che qualcuno li mette in difetto (anche se magari sono io la prima a farlo!).
Per quanto riguardo il supporto psicologico, volevo dirti: Brava! Ti ammiro per la forza che hai trovato per esporti. Io ad esempio non l’ho fatto…
Ho iniziato terapia durante la pandemia per riuscire ad affrontare meglio la mia situazione attuale (soprattutto la separazione “forzata” dal mio compagno) ma mi sono ritrovata ad andare molto in là nel tempo, e tirare fuori molto di quello che ho scritto in questa storia: alla fine ci ho messo più di 20 anni! 🙂 Nel tuo caso, hai imparato a mettere da parte il rancore, nel mio a gestire un forte senso di colpa ed imparato a mettere dei “giusti e sani” paletti tra dove finisco io e dove inizia la mia famiglia.
Sono contenta che mi leggi <3 Mi fa molto piacere! Continua a condivere la tua storia! Grazie!