La mia prima passeggiata a Toronto non è stata proprio da “10 cose da vedere in città in un giorno”. Proprio no, anzi, pensavo di essere dentro le riprese della serie “Dark”, di certo non conosciuta per la sua allegria.
Avevo deciso di godermi la città con lentezza, di esplorare piano piano il vicinato, iniziando dai parchetti, ed è proprio quello che ho fatto.
Quando sono uscita dalla mia quarantena, non avevo ancora internet nel cellulare, perciò niente Google Maps. Non volevo andare lontano e mi memorizzai la strada per un parchetto qui vicino, il Wellesley Park.

Andiamo!
La giornata era decisamente grigia ma io vengo dalla provincia di Milano, non mi faccio condizionare da due nuvole (ed invece è stato nuvoloso per quasi due mesi e un po’ di scherzetti all’umore me li ha fatti! Quando è tornato il sole abbiamo festeggiato).
Per arrivare al Wellesley Park, ho camminato lungo questa via molto molto Nord Americana; mi è piaciuta perché c’erano ancora le decorazioni della mia festa preferita, Halloween (era il 18 Novembre comunque), tante villette a schiera, scoiattoli tra gli alberi, faceva freddo ma non troppo, e c’erano dei bellissimi colori di fine autunno.
Il parco si trova proprio in fondo a questa via, chiudendola.

Al parco c’eravamo io, un signore e un bambino. Allegria!
Mi sistemo un po’ il giubbotto grigio di Shreyank (non avevo ancora comprato il mio super giubbotto nero) e allaccio bene le mie scarpe della Decathlon (uguale, non ero ancora attrezzata per l’inverno Canadese).
Cammino.
Il parco è piccolissimo e si affaccia su altre case a schiera, semi disabitate. Ecco, se dovessi sparire qua a Toronto, direi che potete iniziare a cercare il mio corpo lì.

Il signore ed il bambino se ne vanno e rimango io e la mia inquietudine. Il parco fa rumore (sentite il video qua sotto).
Cammino ancora, seguo il percorso asfaltato, fermandomi però ad ogni albero. Noto che vicino ad ogni corteccia c’è una targa argentata. Vado a curiosare.
Ma certo, siamo nel paese della foglia d’acero, sarà il nome scientifico dell’albero! Che avanti questi canadesi!
“In ricordo di Angela.
Un cuore grande come il cielo”.
Sono dediche.

Ogni albero ne ha una, alcuni sono piccoli arbusti ma hanno già la loro targhetta, io cerco di non perdermene nemmeno uno prima che qualcuno lassù si offenda. Sono dediche per persone che non ci sono più.
È stato un bel giro di presentazione, mi è sembrato di essere nella riunione degli antenati di Mulan.
Finalmente ho fatto quattro chiacchiere con qualcuno di sensato!

Continuo il giro, il parco ha un’altra entrata piena di cartelli che mi incuriosiscono, li leggo tutti.



Mi fanno ridere.
“Usa il parco a tuo rischio e pericolo”.
Cosa vi dicevo? Un po’ di paura lo fa, vero?
Tra gli alberelli spogli vedo un filo rosso appeso, mi avvicino a guardarlo e ripenso alla piccola fuga che ho fatto in Thailandia: quanto ho pregato il quel paese! E quanti fili così ho appeso! Ho pregato tanto per me e Shreyank. Quando sono ritornata in questo parco, due mesi dopo, il filo rosso c’era ancora, chissà dove sono quelli che ho appeso io in Asia.


Sui lampioni all’uscita del parco, ci sono altri cartelli, ovviamente leggo anche quelli.

“Passeggiata alla scoperta!”
Dici bene lampione, dici bene!
Seguo le freccia. Una, un’altra ancora, destra e poi sinistra.
Chissà dove mi sta portando!?
Ero emozionatissima. Da film dell’orrore, stava per diventare un’avventura. Dentro di me penso che è un segno del destino: la destinazione mi dirà cosa fare del mio futuro.
Arrivo.
La Necropoli di Toronto.
Di certo, da quel futuro non si scappa.
Entro.
Anche qua ci sono dei cartelli che mi fanno ridere. Passeggiavo da sola per il cimitero, ridendo.
Non vi preoccupate, vedo già uno bravo!
Non ci posso credere! Questa è davvero la mia prima passeggiata a Toronto!


Mi fermo a leggere i nomi su molte bare. Su una di queste trovo scritto Saudades, una parola del portoghese brasiliano che indica il sentimento di nostalgia.

Ci sono altre dediche, anche sulle panchine.
“Lui era il mio riposo di domenica”.

Io non vado mai al cimitero: ho accompagnato qualche volta mia sorella a salutare suo nonno (abbiamo padri diversi), e basta. Io, mia mamma e le mie sorelle non abbiamo mai pianto sul corpo di mia nonna quando è venuta a mancare in Brasile. Quando è morta è stato strano perché non c’è stato un funerale: gli esseri umani hanno bisogno di riti e cerimonie per dare senso alle fasi della vita, per attenuare il dolore, per celebrare la nascita di persone ed unioni, per avvicinarsi a ciò che non possiamo controllare. Mia nonna, per me, ha solo smesso di chiamare.

La morte mi fa paura: non l’ho mai vista da vicino, per fortuna. La pandemia ci ha abituato a guardare alla morte come un numero, un valore su un grafico. Penso però a chi in quel numero ha lasciato un nome.
Esco dal cimitero, iniziava a fare un po’ freddo.
Mi accorgo che ci sono altri cartelli con la scritta “Discovery Walk“.
“Dai! Questa è la volta buona! Ci sarà un segnale, un messaggio sul mio futuro, il mio scopo in questa vita!”
Arrivo in una fattoria.
A Toronto.
Riprendo a ridere. Ci sono più persone qui, molti bambini. Faccio il giro tra le caprette, i cavalli e le mucche.
Non ci posso credere! Dopo il parchetto inquietante, la necropoli, ecco ora una stalla!

Riprendo a camminare. C’è un altro parco, molto più spazioso, ci sono gli alberi con le dediche, le panchine con le dediche e questa volta trovo nomi anche sull’asfalto.

Questa volta non li leggo tutti. Ci tornerò.
Torno a casa di corsa (perché mi scappava la pipì! Voglio vedere voi con questo freddo!).
Mi lascio alle spalle il parco, la necropoli, la fattoria e le dediche.
La città inizia ad alzarsi davanti a me. Mi sembrava di tornare da un’altra dimensione.

Voglio raccontare tutto a Shreyank.
Secondo me stai aggiungendo del masala a questa storia!
Non sto esagerando! Ti dico che è così!
Ci sono andato mille volte in quel parco e non ho mai visto nulla di quello che dici!
Lo so. Tutti noi vediamo sempre solo ciò che cerchiamo, ciò che vogliamo vedere, nulla di più.
Io non ho mai avuto attenzione per i piccoli dettagli, di solito vado di fretta: quante cose ho visto così, distrattamente, con altri pensieri per la testa, solo per portare a termine una lista di cose da fare.
Questa volta voglio che sia diverso. Dev’essere diverso. Voglio vedere ciò che c’è ora davanti a me.
Ho scritto solo ora di quel mio primo giorno fuori casa, così surreale e divertente per me. Ho sentito di farlo ora perché stavo per dimenticarmi della promessa fatta a me stessa: concentrarmi sul presente.
Riviverlo mi ha fatto sorridere. Ripensare a quella giornata mi ricorda di rallentare e respirare.
Quella sera, sotto la doccia, ho deciso di aprire un blog, questo blog. Il Masala nella Storia, un dettaglio che rende una passeggiata un racconto, il mio esercizio sul presente.

Grazie di cuore per aver letto questo racconto.
Aspetto i vostri commenti e riflessioni.
